Matteo Negri è uno di quei meridionali che nel 1860 scelse di non tradire e, da ufficiale dell’Esercito delle Due Sicilie ligio al dovere e all’onore, due tratti che erano stati instillati in lui negli anni della formazione alla Nunziatella, difese fino alla morte la propria patria. Morì il 29 ottobre 1860 mentre, con i suoi uomini, impegnava l’esercito garibaldino e piemontese lungo il fiume Garigliano, quando tutto era già perduto. Nonostante questo non è mai venuto meno ai suoi compiti. Palermitano nato il 21 giugno 1818, primo dei sei figli del Capitano Michele Negri dei Baroni di Paternò e di Maria Antonia Termini dei duchi di Vaticani, entrò nel Real Collegio Militare della Nunziatella a 14 anni, nel 1832.
La Nunziatella rappresentava il massimo per l’istruzione militare e il fior fiore dell’ufficialità dell’Esercito delle Due Sicilie aveva ricevuto la propria istruzione proprio nei suoi locali. Uscì dalla Nunziatella come Alfiere dell’Artiglieria sette anni dopo, nel 1839, e cominciò a dedicarsi all’arte della guerra pubblicando anche testi scientifici sull’argomento dell’artiglieria. Fu uno dei primi ad elogiare la nuova tecnica di rigatura dell’artiglieria che porterà alla nascita dei cannoni rigati che con tanta viltà verranno usati dai piemontesi durante la campagna del 1860-61.
Questa capacità intellettuale unita a doti di comando e abilità tattiche che gli valsero la medaglia nella campagna di Sicilia nel 1849, diretta dal Generale Gaetano Filangieri, e l’attribuzione degli Ordini cavallereschi di San Giorgio della Riunione, di Francesco I e di San Ferdinando e del Merito. Una rapida carriera militare che lo porta ad essere nominato Tenente Colonnello quando Garibaldi è già in Calabria. Il 7 settembre segue il suo Re, Francesco II a Capua e gli viene affidato il comando dell’Artiglieria nella battaglia del Volturno suscitando l’ammirazione di tutti i suoi contemporanei.
Un altro grande dell’Esercito delle Due Sicilie, Ludovico Quandel lo elogiò successivamente con parole cariche di ammirazione: “Bravissimo sia per le cognizioni che possiede quanto per la fermezza e il coraggio di cui è dotato, sarebbe stato utilissimo all’Esercito se i suoi consigli dati con militare franchezza fossero stati uditi. Egli però aveva trovati oppositori molti e tentennamenti oltremodo nocivi. Aveva ricevuto il comando superiore delle batterie ed era perciò stato quasi allontanato dai consigli di guerra, sbaglio gravissimo e non solo”.
Il tradimento piemontese e l’invasione dal nord cominciata il 18 ottobre, segnò la fine di ogni speranza. L’esercito napoletano passo al Garigliano per stabilire la nuova linea di resistenza delle forze armate. E’ promosso rapidamente Colonnello e poi Generale di Brigata. Organizza, in questa veste, il trasferimento di oltre 20mila uomini dal Volturno a Gaeta, approvvigionamenti, uomini, cavalli, carri e cannoni, sono trasferiti in pochi giorni fino a quando, alla fine del mese, non apparvero all’orizzonte i piemontesi guidati dal sanguinario Generale Enrico Cialdini, futuro boia di Pontelandolfo e Gaeta. Una vera e propria fuga in avanti quella dei bersaglieri che volevano dividere in due le forze napoletane.
Punto di resistenza era costituito dal 3° e 4° battaglione Cacciatori e da un battaglione del 3° di Linea. A supporto vi erano il 14° Cacciatori, 24 cannoni da campo, 8 pezzi di artiglieria da montagna, due squadroni di Lancieri e uno di Ussari. Dopo poche ore di battaglia viene ferito più volte ma resiste. Continua a dare ordini e a dare fiducia agli uomini che resistono. La sua azione è fondamentale. Senza il fuoco dei suoi cannoni i bersaglieri avrebbero gioco facile ad avvicinarsi al ponte Ferdinando. La resistenza dei Napoletani consente a tutte le truppe a Sud del Garigliano di passare il fiume e di portarsi, ordinatamente a Gaeta dove Francesco II e Maria Sofia si preparano all’ultima, disperata resistenza.
Quando il peggio è passato si accascia al suolo, accanto ai suoi cannoni e a lui il fiore dell’Esercito Napoletano: il capitano Quandel, il capitano Raffaele D’Agostino e il fratello del Re Alfonso di Borbone conte di Caserta. Francesco II ne dispone i solenni funerali da eseguirsi nel Duomo di Gaeta dove dal 1860, Negri è sepolto.
“Le sue rare virtù lo rendono degno di essere ricordato alla posterità; però dopo che avrà ricevuto in questa Piazza gli onori funebri che troppo gli sono dovuti, saranno le spoglie racchiuse in un sepolcrale monumento che sarà eretto in questo Duomo” dispose così l’ultimo Re delle Due Sicilie.
L’epigrafe nel Duomo di Gaeta così recita: “Matteo Negri/ Generale delle napoletane artiglierie/ raro esempio di fede e virtù militare/ pel Re e per la Patria/ sulle rive del Garigliano strenuamente pugnando/ il XXIX Ottobre dell’anno di nostra salute MDCCCLX/ cadde da prode/ all’anima generosa la corona la corona immortale degli eletti di Dio/ alla spoglia terrena/ tra lagrime e l’ammirazione dell’esercito/ il Re poneva questa lapide”.
A questa lapide il popolo delle Due Sicilie, riconoscente, si inchina e ne onora ancora la memoria.
Roberto Della Rocca
Fonte: Istituto di Ricerca Storica delle Due Sicilie