CAIAZZO - Tra il 19 e il 21 settembre 1860, si scontrarono a Caiazzo le armate garibaldine e parte dell’Esercito del Regno delle Due Sicilie, ritiratosi, dopo l’abbandono di Napoli (6 settembre), lungo la linea del Volturno. A fronteggiarsi furono anche due uomini, Giovan Battista Cattabeni (al comando delle camice rosse) e il Tenente Colonnello Ferdinando La Rosa (in testa alle forze delle Due Sicilie). Caiazzo rappresentava, per entrambi gli eserciti contrapposti, un elemento strategico fondamentale che avrebbe potuto decidere chi avesse vinto o perso nel corso della ormai imminente battaglia finale che si sarebbe combattuta tra i due schieramenti. Il 19 settembre, giorno di San Gennaro, patrono di Napoli, fu per miracolo sventato il tentativo garibaldino di occupare la città grazie alla complicità di alcuni esponenti della borghesia caiatina.
Il La Rosa con soli 600 uomini respinse le camice rosse del Cattabeni grazie soprattutto al sostegno attivo della popolazione che prese d’assalto le abitazioni dei “notabili” liberali e contribuì ad innalzare le batticate che, da Porta Pace a Port'Anzia, contribuirono a difendere la maggior parte del centro abitato mentre poco più di 600 Regi, impedivano ai garibaldini di occupare la strada per Capua, dove erano arroccati il Re, lo Stato Maggiore e la maggior parte dell’Esercito. Allarmato dalla forte resistenza della popolazione, Cattabeni inviò al Generale Turr la richiesta di rinforzi e lo stesso Garibaldi, informato dei fatti bellici, non esitò ad inviare il reggimento Vacchieri della divisione Medici, 1119 uomini che il 20 settembre prese posizione nella parte del paese occupata da Cattabeni. La Rosa, nel frattempo, aveva fatto anch’egli domanda di rinforzi e il Generale Colonna mandò contro Caiazzo il 4° Cacciatori al comando del Tenente Colonnello Della Rocca, uno squadrone di Dragoni e diversi pezzi di Artiglieria. A combattere in prima fila fu anche il fratello del Re, S.A.R. Alfonso di Borbone, Conte di Caserta che, malgrado la giovanissima età, si distinse nelle ore successive contribuendo alla vittoria finale.
Il Maresciallo Ritucci, responsabile della difesa del Volturno, per evitare brutte sorprese inviò ulteriori forze, in particolare i Carabinieri Esteri al comando del Tenente Colonnello Giovan Luca Von Mechel, e l’8 Cacciatori a Cavallo che giunsero a marce forzate a Caiazzo dove già era cominciato lo scontro finale. Le truppe del Tenente Colonnello La Rosa avevano già respinto i nemici tra Triflisco e Formicola e puntavano su Caiazzo dove, giungendo al centro abitato da tre direzione distinte, accerchiarono i garibaldini decretandone la sconfitta. Costò 1.110 tra morti e feriti e altri 700 prigionieri (in pratica la perdita di tutta la Vacchieri) il tentato blitz dei garibaldini. A vincere furono, senza dubbio alcuno, i soldati dell’Esercito delle Due Sicilie che, a causa di una guida inefficiente, non seppero sfruttare la situazione di caos generata tra le camice rosse. Ritucci ordinò di non proseguire l’avanzata su Caserta, consigliata dai suoi subordinati e si mantenne in attesa dello scontro del 1 e 2 ottobre sul Volturno.
Cattabeni morì durante la battaglia e stessa sorte toccò a Ferdinando La Rosa, colpito a morte mentre guidava una carica di sganciamento presso l’ex convento dei Cappuccini. Il corpo ferito del Tenente Colonnello fu trasportato a Capua dove morì presso l’Ospedale Militare il 22 settembre. Ricevé solenni funerali, adeguati al grado e alla statura dell’uomo che aveva infranto il mito dell’invitto Garibaldi.
Cosa resta dopo 152 anni da quelle giornate? Il ricordo di uomini che sacrificarono la propria vita per la propria Patria e il senso di ingiustizia nel non vedere riconosciuto quello sforzo. Il nome di Cattabeni figura, onorato e celebrato, tra le strade del piccolo borgo di Caiazzo mentre La Rosa non ha trovato pace neanche da morto. Sepolto nella chiesa di Santa Caterina a Capua, negli ultimi anni la struttura è stata sottoposta ad un profondo restauro che ha portato alla perdita della tomba di questo eroe delle Due Sicilie. Colpa della sciagurata incuria dei restauratori odierni e anche della mancanza di memoria che da 152 anni ci affligge.
ROBERTO DELLA ROCCA
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