SANTE MARIE(AQ) - Gentili Amici, sono sotto gli occhi di tutti la dissolutezza e la mancanza di etica che il nostro mondo attuale vive, I "valori", quelli veri, quelli dei nostri avi, quelli vivi nel nostro "Sud", sono stati soppiantati da valori "mobiliari ed immobiliari". La mancanza totale di etica che quotidianamente riscontriamo in quella che con massimo eufemismo definiamo "classe dirigente" ci fa piombare nello sconforto più totale. Per questo, una quindicina d'anni fa al comm. Giovanni Salemi venne in mente, di concerto con la locale amministrazione, di ricordare, di commemorare la morte di un uomo "vero", un militare, un "hidalgo", il generale carlista di origine catalana Giosép Borgés (conosciuto anche come José Borjés con la grafia castigliana) a cui vennero affidate le speranza di riportare sul Trono dei suoi Padri il legittimo Sovrano del Regno delle Due Sicilie.
Un uomo che giganteggia pur nella sua breve vita, soprattutto se paragonato allo squallore dei suoi avversari. Uomini che "caddero ma come stelle d'agosto sfolgorando in cielo". Quest'anno a Sante Marie, paesino di Abruzzo Ulteriore secondo, Distretto di Avezzano, Circondario di Tagliacozzo, che vide compiersi l'avventura terrena del generale e dei suoi valorosi compagni, celebreremo la XV edizione della commemorazione del grande eroe.
Anche quest’anno a Sante Marie, piccolo comune in provincia di Aquila (per noi, provincia di Abruzzo Ulteriore II, distretto di Avezzano, circondario di Tagliacozzo) a pochi chilometri dal confine con il Lazio, ricorderemo l’eroico sacrificio del Generale carlista José Borjés (in catalano Josep Borges).
A ricordarlo l’amministrazione comunale di Sante Marie guidata dal Sindaco Lorenzo Berardinetti che, da oltre dieci anni organizza l’evento commemorativo insieme con il Commendatore Giovanni Salemi, Presidente dell’Istituto di Ricerca Storica delle Due Sicilie e dell’Associazione Culturale Capitano G. De Mollot – eroe del Volturno, che oltre dieci anni fa per primo ebbe l'idea di commemorare il valoroso generale.
PROGRAMMA
Nel pomeriggio del giorno mercoledì 7 dicembre 2016, alle ore 16,00, presso la sala consiliare del Comune di Sante Marie, si terrà il convegno: IL GENERALE BORJES NELL'AMBITO DEL LEGITTIMISMO FILOBORBONICO
Presentazione del romanzo di Maria Scerrato "FIORI DI GINESTRA donne briganti lungo la Frontiera 1864-1868"
Nel giorno dell’Immacolata Concezione, festività nazionale del Regno delle Due Sicilie, giovedì 8 dicembre, si terrà la parte "militare" dell'evento.
Dopo una visita al Museo del Brigantaggio, presso la Cascina Mastroddi, in località la Luppa, verrà issata la Bandiera del Regno delle Due Sicilie, tenuta una breve allocuzione da parte del comm. Salemi ed infine deposta una corona d'alloro al cippo che ricorda la cattura e l'uccisione del generale catalano.
Dei fiori verranno poi deposti anche a Tagliacozzo davanti al busto del generale carlista realizzato dal Duca Massimo Patroni Griffi di Roscigno, Cavaliere di Giustizia, e donato dal Comm. Arturo Cannavacciuolo entrambi dell'Ordine Costantiniano ed inaugurato nel 2012.
Nato a Vernet, (Artesa de Segre – Lleida), un piccolo centro della Catalogna, José Borjés era figlio di Antonio, un ufficiale dell’esercito che partecipò ai conflitti antinapoleonici, in seguito fucilato a Cervera, durante la Prima Guerra Carlista, nel 1836.
Di educazione cattolica e tradizionalista, si dedicò proficuamente agli studi umanistici, in particolare quelli di Cesare. Formatosi presso l’accademia militare di Lleida, si arruolò nelle milizie carliste di Don Carlos, divenendone comandante di brigata nel 1840. Dopo la disfatta dei carlisti, Borjes esiliò in Francia, arrangiando come rilegatore, precettore e commerciante di vini. Nel 1860, si recò a Roma cercando di mettersi al servizio dello Stato pontificio ma, vista la delicata situazione diplomatica e per timore di turbare le relazioni con il governo spagnolo, le autorità papali rifiutarono. Tornato in Francia, fu contattato dagli agenti borbonici inviati dal generale Tommaso Clary, ricevendo l’invito di servire il governo borbonicoin esilio. Gli fu prospettata una situazione favorevole, in cui lo avrebbero atteso i comitati borbonici e numerosi ribelli, pronti a combattere per restaurare il vecchio regime. Borjes, suggestionato dalla proposta, accettò l’incarico. Il generale, con soli 17 combattenti, iniziò la sua missione partendo da Marsiglia e giungendo prima a Malta e poi a Capo Spartivento, in Calabria. Qui Borjes cominciò a dubitare delle promesse fatte da Clary, non trovando nessuno ad attenderlo. Le popolazioni locali apparvero diffidenti se non ostili. Giunto a Precacore (l’odierna Samo), venne accolto da un parroco ma nessun rappresentante del comitato borbonico giunse a riceverlo e riuscì ad arruolare solamente una ventina di contadini. Incontrò la banda di “Don” Ferdinando Mittica, composta da 120 uomini, con la quale attaccò il comune di Platì senza successo. Abbandonato da Mittica, che verrà ucciso qualche giorno dopo in uno scontro, e inseguito dalle guardie nazionali che fucilavano chiunque gli fornisse aiuto, Borjes si diresse verso la Basilicata su indicazione di un delegato del principe di Bisignano, nella speranza di trovare una situazione più ottimista. Nel mese di ottobre, approdò in Basilicata per incontrare il capo di una delle bande più temute di quel periodo, Carmine Crocco. Il generale catalano fu accolto da Crocco e i suoi uomini nei boschi di Castel Lagopesole. I patti prevedevano di trasformare la sua banda in un esercito regolare, impiegando precise tattiche militari, conquistare più comuni possibile per arruolare nuovi combattenti e conquistare Potenza, la più consistente roccaforte sabauda della regione. Crocco, sebbene stipulò l’accordo, non si fidò di Borjes sin dall’inizio, temendo che costui volesse sottrargli le bande e i territori sotto il suo potere. Stipulata l’alleanza, il capo brigante, Borjes e l’armata dei briganti riuscirono ad ottenere numerose vittorie ma, contro il volere del generale, venne evitato il tentativo di conquistare Potenza e l’esercito era ormai ridotto allo stremo. Così Crocco decise di ritirarsi a Monticchio, rompendo la sua alleanza con Borjes, mosso anche dalla mancata promessa di un rinforzo militare da parte dell’esule governo borbonico. Il generale, amareggiato dalla sua decisione, si mosse verso Roma per informare re Francesco II dell’accaduto e nel tentativo di organizzare un esercito di volontari per ripetere l’operazione. Giunto quasi al confine tra l’Abruzzo e il Lazio, ordinò ai suoi uomini di fare una sosta durante la fredda e nevosa notte tra il 7 e l’8 dicembre 1861 a Sante Marie, presso la cascina Mastroddi, in località La Luppa. Questa decisione si rivelò fatale: il generale e il suo drappello vennero braccati dai bersaglieri sabaudi comandati dal maggiore Enrico Franchini, informati del loro arrivo da alcune persone del posto. Venne ingaggiato un conflitto a fuoco e, dopo l’incendio della cascina da parte dei bersaglieri, i legittimisti furono costretti ad arrendersi e furono portati aTagliacozzo per essere condannati a morte senza processo. Consegnata la sua spada a Franchini, che la spezzò, Borjes chiese di confessarsi in una cappella assieme agli altri prigionieri. Poco prima di morire, il generale urlò «L’ultima nostra ora è giunta, moriamo da forti.». Davanti al plotone d’esecuzione, si abbracciò ai suoi uomini e recitò una litania in spagnolo, interrotta bruscamente dalla fucilazione. I cadaveri, spogliati dei propri effetti personali, furono sepolti in una fossa comune ma per intercessione di Folco Ruffo, principe di Scilla, e del visconte parigino di San Priest, la salma del militare catalano fu riesumata per ordine del generale Alfonso La Marmora e portata a Roma per ricevere solenni funerali. La morte di Borjes suscitò indignazione e venne aspramente criticata, anche da personalità liberali. Lo scrittore Victor Hugo, benché ammiratore degli ideali risorgimentali, accusò il neonato regno di Vittorio Emanuele II per i metodi impiegati esclamando «Il governo italiano fucila i realisti». L’archeologo François Lenormant definì il generale «uno di quegli avversari che ci si onora di rispettare» e considerò la sua morte «una macchia sanguinosa per il governo italiano». Il generale Rafael Tristany, compagno d’armi di Borjes nelle guerre carliste e impiegato dai Borbone per sollevare il popolo alla frontiera pontificia, accusò i generali borbonici Clary e Jean-Baptiste Vial come responsabili della sua morte, per averlo ingannato sulle direttive delle insorgenze mentre loro si trovavano al sicuro negli agi della corte romana.
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Giancarlo Rinaldi
Fonte: Istituto di Ricerca Storica delle Due Sicilie