NAPOLI - Maria Amalia di Borbone, principessa di Napoli e Sicilia, nacque il 26 aprile 1782 nella Reggia di Caserta, decima figlia di Ferdinando IV e di Maria Carolina d’Austria.
Fu cresciuta dalla madre con l’intento di farla divenire Regina di Francia quale sposa del figlio della propria sorella, Maria Antonietta, ma non fu così. Il cugino morì prematuramente, mentre gli zii, il Re Luigi XVI e Maria Antonietta vennero subito dopo ghigliottinati. Era in pieno atto la rivoluzione, e il Regno di Napoli fu occupato dai francesi costringendo il Re Ferdinando a ritirarsi a Palermo con tutta la famiglia, mossa che tuttavia gli fece conservare una parte del Regno, unico monarca in Europa a riuscirci.
Anche se attraverso un altro disegno, tuttavia il sogno di Maria Carolina si compì ugualmente: la figlia doveva essere Regina di Francia e così fu.
Nel 1809 sposò a Palermo Luigi Filippo, quindi nel 1830, a seguito della Rivoluzione di Luglio, Luigi Filippo e Maria Amalia diventarono rispettivamente Re e Regina dei francesi.
Anche lontana la sovrana non dimenticò mai il suo sangue: da buona principessa napoletana era bravissima in cucina e tradizionalmente affezionata ai maccheroni conditi con il ragù e Luigi Filippo divideva con lei tale passione. I pranzi, alla Corte di Francia, avevano un tono di tale semplice familiarità da scandalizzare la fiera aristocrazia francese.
La Regina stessa non disdegnava di mettere le mani in pasta, per preparare i “maccheroni alla napoletana” e dava anche consigli ai suoi ospiti sul modo di condirli: “Mettete ancora un po’ di formaggio grattuggiato… e ancora, sul formaggio si deve assolutamente mettere altro sugo”. Tutta l’etichetta era così disciolta in un’aria di brava gente, e i maccheroni erano diventati una maniera indubbia per conoscere la fedeltà dei cortigiani. La regina Maria Amalia morì a 84 anni il 24 marzo 1866.
Alla morte, rispettando le sue ultime volontà, fu vestita con l’abito che indossava nel giorno del 1848 quando lei e il marito furono costretti a lasciare la Francia per l’esilio.
Gerry Sarnelli
Fonte: Istituto di Ricerca Storica delle Due Sicilie