Giuseppe Garibaldi in uniforme massonica
BIELLA - Giuseppe Maria Garibaldi nacque a Nizza nel 1807. La madre, molto devota, desiderava vederlo consacrato al sacerdozio; la sua educazione venne dunque affidata a religiosi: «I miei primi maestri furono due preti; e credo l’inferiorità fisica e morale della razza italica provenga massime da tale nociva costumanza» , scrisse lo stesso Garibaldi nelle sue "Memorie".
Era l’apertura delle ostilità: quando il ragazzo sarebbe divenuto uomo, avrebbe definito la Città Eterna «capitale della più odiosa delle sette» , il trono del Pontefice «il seggio della serpe» , il Papato «cancro d’Italia» .
In materia di religione non ebbe mai idee, ma sentimenti, e questi piuttosto contraddittori. Il panteismo, il sincretismo, le utopie sansimoniane lo attirarono successivamente, senza riuscire a fissarsi nel suo pensiero. La sua mentalità era di stampo illuministico: egli credeva fermamente nel progresso illimitato dell'Umanità, e riteneva che quel progresso sarebbe stato facile e spontaneo, se non fossero esistite forze maligne che, per oscuri interessi, lo contrastavano. Per lui , e tutti quelli come lui, queste forze trovavano la loro massima espressione nella Chiesa cattolica, rappresentata dal prete, «la più nociva di tutte le creature, perché egli più di nessun altro è un ostacolo al progresso umano, alla fratellanza degli uomini e dei popoli» . Garibaldi resterà sempre legato alla grande utopia di una «liberazione» dell’uomo interamente «laica», prodotta con le sue sole forze, grazie all’apporto determinante del progresso scientifico e tecnico , attestante la potenza della nuova religione, la «religione del vero», «basata sulla ragione e la scienza» . Opposta a essa vi era la religione «del prete, che è la menzogna. Libertà di ragione: ecco la bandiera che opponiamo al cattolicesimo, il quale ha per tanti secoli abbrutito la creatura umana» . L’illusione di Garibaldi fu sempre quella di gettare le basi di una nuova pietas popolare, spogliata dell’intero armamentario dogmatico e disciplinare, imperniata sul municipio e sulla nazione, anziché sulla parrocchia e sulla Chiesa.
Cristo stesso veniva considerato non più «sotto l’aspetto della Divinità, cui vollero attribuirlo i preti vari secoli dopo morto, per trafficarlo — ma sotto l’aspetto delle sue virtù, come Uomo e come Legislatore» . Garibaldi, tuttavia, non dispose mai di una dottrina organica e nelle sue invettive anticlericali, traboccanti spesso dal terreno politico a quello della dogmatica cattolica , non riuscì ad andare oltre alla contrapposizione dei «princìpi del vero» alle «turpi menzogne» del Vaticano. Quella sua viscerale avversione verso il clero, il Papa e la Chiesa celavano comunque un’avversione ben più profonda: «Come la nostra lotta coi clericali tiene oggi sospeso tutto il mondo civile; così la nostra vittoria su Dio (!) sarà l’acclamata rivendicazione della libertà di coscienza ed il trionfo della ragione sul pregiudizio» . Queste convinzioni facilitarono l’accostamento del giovane Garibaldi alle società segrete del suo tempo, unite dall’odio comune verso il cattolicesimo: «[...] il nostro scopo finale — era scritto in una Istruzione segreta permanente data ai membri dell’Alta Vendita carbonara, datata 1819 — è quello di Voltaire e della rivoluzione francese: cioè l’annichilamento completo del cattolicismo e perfino dell’idea cristiana, la quale, se rimanesse in piedi sopra le ruine di Roma, ne sarebbe più tardi la perpetuazione» .
Lo stesso settario e satanista Giuseppe Mazzini era fautore di una religione «civica», in cui la morale di Cristo era integrata da comandamenti rivoluzionari e incendiari, e che doveva sostituire la religione cattolica: «Una nuova epoca sorge, la quale non ammette il cristianesimo, né riconosce l’antica autorità» ; «l’epoca cristiana è conclusa» ; «il cattolicesimo è una materializzazione della religione e una setta» . La nuova «religione dell’umanità», di cui Garibaldi e Mazzini si facevano apostoli, pur con differenze contingenti, aveva come fine dichiarato la soppressione del principato civile del Pontefice, mezzo necessario al compimento del «pravo disegno di distruggere più facilmente, mediante la soppressione del [...] temporale dominio, le istituzioni tutte della Chiesa, annientare l’autorità della Santa Sede, abbattere il supremo potere del vicario di Gesù Cristo» .
La formazione ideologica di Garibaldi fu soprattutto mazziniana, anche se egli, nelle sue Memorie, insiste sull'importanza dell’incontro con i socialisti sansimoniani.
In realtà, egli non assimilò mai il socialismo, né come teoria né come azione, pur concedendo a esso qualche simpatia, in quanto gli pareva potesse corrispondere alle sue indefinibili aspirazioni umanitarie. Il principio di divisione che quel movimento portava in sé, nonché concetti quali il collettivismo, la dittatura del proletariato e soprattutto la lotta di classe, che è la caratteristica del socialismo scientifico, non ebbero presa su di lui: «Le difficoltà che presenta il socialismo nella sua applicazione nascono dal non volerlo rendere praticabile, coll’abolizione della famiglia, della proprietà, ecc.». Ciò che invece lo colpiva era il contenuto ideale e utopistico di alcune affermazioni, le pompose parole «giustizia», «emancipazione dei popoli», «unione degli oppressi», che erano alla base di quella «religione dell’umanità» che egli coltivava. Le sue preferenze andavano alle questioni relative all’assetto della società, che si doveva trasformare attraverso una sorta di automatismo prima militare, poi culturale, che non prevedeva né lotta di classe, né tantomeno una politica riformistica.
Dopo la tempesta di sangue scatenata dai rivoluzionar-settari nel 1789, che nella penisola italiana non aveva suscitato alcun entusiasmo, se non presso esigue minoranze, le forze rivoluzionarie dovettero ripiegare esclusivamente sulla cospirazione, continuando a lavorare per portare a termine il loro folle e sovversivo disegno unitario, che avrebbe raggiunto il suo scopo soltanto con la famigerata breccia di Porta Pia. «[...] la rivoluzione ha mutato marcia e tattica. — scrive nel 1818 il Cardinale Ercole Consalvi al Principe di Metternich — Essa non se la piglia più ora, armata mano, contro i troni e gli altari: essa si contenterà di minarli» . La restaurazione voluta dal Metternich non riaffermò, purgandoli dagli inquinamenti rivoluzionari, i princìpi della Tradizione, dell’ordine e della religione, ma si accontentò stoltamente di riportare la calma in superficie, nella illusione di disarmare la Rivoluzione con una politica «illuminata» e di conciliazione. A nulla valsero gli avvertimenti lanciati da spiriti acuti, quali il Principe di Canosa a Napoli, il Conte Monaldo Leopardi nello Stato Pontificio, il Conte Clemente Solaro della Margarita in Piemonte, né le brevi ma violente esplosioni rivoluzionarie del 1821 e del 1831. La propaganda dei settari poté continuare quasi indisturbata a lavorare all'alterazione delle idee e al corrompimento dei costumi, preparando il campo per una nuova e più concreta vampata rivoluzionaria. Garibaldi fece il suo ingresso nella cospirazione mazziniana verso il 1833 e presto passò all’azione. Arruolatosi nella marina sarda per compiervi opera di proselitismo, nel 1834 cercò invano di sollevare i marinai della flotta e, condannato a morte come traditore e nemico della Patria, dovette rifugiarsi prima a Marsiglia, quindi in Sudamerica.
A Rio de Janeiro, Garibaldi venne accolto dagli esuli mazziniani e poté riprendere, presso la locale colonia "italiana" , almeno l’attività propagandistica.
L’occasione per impugnare nuovamente le armi non si fece attendere, essendo scoppiata la rivoluzione Farroupilha, che portò alla secessione, liberale e repubblicana, della provincia del Rio Grande do Sul dall’Impero del Brasile. Garibaldi, munito di una «lettera di corsa» fornitagli dal capo ribelle Benito Gonçalves, poté così abbandonarsi per diversi anni a una lunga serie di azioni di pirateria contro le navi e le coste brasiliane, al comando di «quella classe di marinai avventurieri conosciuti [...] sotto il nome di "Frères de la còte", classe che aveva fornito certamente gli equipaggi dei filibustieri, dei bucanieri, e che oggi ancora dava il suo contingente alla tratta dei neri» . Anche i libri scritti con intento apologetico ammettono che non tutti i compagni di Garibaldi «erano idealisti ed eroi; v’erano anche delle emerite canaglie, dei deboli, degli elementi sospetti» . In una delle sue frequenti scorrerie lungo le coste del Brasile, il giovane corsaro incontrò Anita, la prima di numerose mogli, e la portò con sé, incurante del fatto che essa fosse già sposata a un certo Duarte, che ne morirà di crepacuore. Garibaldi, travolto dalla passione, aveva calpestato «non solo le leggi civili, alle quali dava poca importanza, e quelle religiose che affettava di disprezzare, ma anche gli scrupoli naturali di un animo generoso e i principii universali dell’ospitalità» .
Alle azioni di pirateria seguirono , quando la flottiglia venne distrutta, operazioni terrestri, durante le quali Garibaldi ebbe modo di distinguersi anche per le rappresaglie compiute dai suoi uomini, come quella contro la cittadina di Imiriù, che non voleva saperne di essere «liberata». Vi furono scene orribili di saccheggi e di assassini da parte della truppa ubriaca; uno spettacolo allucinante, al punto che fu impossibile «narrarne minutamente tutte le sozzure e nefandità»; soltanto «con minacce, percosse ed uccisioni si pervenne ad imbarcare quelle fiere scatenate» . Prima che la rivolta del Rio Grande do Sul fosse spenta dagli imperiali, Garibaldi si rifugiò in Uruguay, anch’esso sconvolto da una guerra civile. Egli si schierò con il Presidente golpista Rivera, capo dei liberali colorados, sostenuto dai governi liberali del Brasile e dell’Inghilterra, la quale mirava al controllo dell’estuario del Rio de la Plata, indispensabile per la difesa del proprio monopolio commerciale; sul fronte opposto combattevano i blancos del deposto presidente Oribe, a loro volta sostenuti dai gauchos dell’interno, dalle gerarchie ecclesiastiche e dal Presidente argentino de Rosas. Garibaldi, che con un disinvolto cambiamento di fronte era passato dalla parte dei suoi ex-nemici brasiliani, si trovò così a combattere non per la fantomatica libertà delle popolazioni rioplatensi, che anzi si impegneranno strenuamente nella difesa delle loro tradizioni culturali, ispaniche e cattoliche, ma per assicurare «libertà di commercio» all’Impero britannico.
Né era estranea a questo impegno la sua iniziazione massonica, avvenuta nel 1844 a Montevideo, prima presso la loggia «dissidente», denominata «Asilo de la Vertud», quindi presso la loggia «Amis de la Patrie», dipendente dal Grande Oriente di Francia . In Sudamerica, come ovunque, era palese la coincidenza tra «liberali» e organizzazioni massoniche; i moti per la «indipendenza» o per la «libertà» erano sorretti dalle Massonerie d’Inghilterra e degli Stati Uniti, interessate non solo a sottrarre l’America meridionale alla egemonia «clerico- reazionaria» degli Stati iberici e a condurla alla «civiltà», ma anche ad attrarla nell’orbita economica anglo-americana. Ben al corrente di tutto ciò, Giuseppe Garibaldi mise la sua spada al servizio della Rivoluzione, capeggiando in Uruguay una banda composta da fuoriusciti di vari stati d'Italia e da gente di altra provenienza, «quasi tutti disertori da bastimenti da guerra. E questi — confessava Garibaldi — erano i meno discoli. Circa agli americani, tutti quanti, quasi, erano stati cacciati dall’esercito di terra per misfatti e massime per omicidio. Dimodoché, essi erano veri cavalli sfrenati» . Le ignominiose gesta garibaldine, debitamente purgate da ogni «deplorevole eccesso», divennero largamente pubblicizzate dai settari che agivano in Italia e altrove.
Giuseppe Mazzini, in particolare, coadiuvato dalla stampa anglo- americana, costruì passo a passo il mito di Garibaldi in Italia, attraverso infuocati e menzogneri articoli sull’Apostolato popolare e su altri giornali, nonché con un opuscolo «riepilogativo», diffuso nel 1847. In quell’anno, Mazzini — che bene aveva inteso come la fama di quel nizzardo combattente all’estero potesse essere utile alla causa rivoluzionaria — si diede molto da fare perché questi tornasse con la sua Legione. Soltanto l’anno successivo, però, quando la guerra in Sudamerica cominciò a languire, a causa del ritiro degli inglesi, egli ottenne che Garibaldi si imbarcasse alla volta dell’Italia, dove intanto erano maturati grandi e nefasti eventi.
L’attività rivoluzionaria, in quegli anni, era continuata instancabile, con l’obiettivo principale di screditare il potere temporale della Chiesa, suscitare disprezzo verso i suoi ministri e infiltrarsi fra i cattolici, provocandone la divisione. A tale fine, aveva preso piede la corrente del liberalismo sedicente cattolico, facente capo a Vincenzo Gioberti e a Massimo d’Azeglio, che intendeva conciliare il cattolicesimo con la Rivoluzione, rivestendo le dottrine rivoluzionarie di forme religiose, in modo tale da sedurre gli incauti.
La Rivoluzione, tuttavia, mirava ben più in alto, cioè al coinvolgimento del Pontefice: «Quello che noi dobbiamo cercare ed aspettare, come gli ebrei aspettano il Messia, si è un Papa secondo i nostri bisogni [...] . Con questo solo noi andremo più sicuramente all’assalto della Chiesa, che non cogli opuscoletti dei nostri fratelli di Francia e coll’oro stesso dell’Inghilterra» . Questa eccezionale occasione sembrò essere giunta con l’ascesa al trono pontificio, nel 1846, di Pio IX, le cui prime iniziative suscitarono reazioni sproporzionate che, abilmente manipolate, servirono a creare il mito del Papa «liberale».
Nel 1847, il congresso massonico internazionale di Strasburgo, giudicati maturi i tempi, mise a punto i piani per una nuova ondata rivoluzionaria, che puntualmente l’anno successivo travolse prima Parigi, dove la monarchia liberale dell'usurpatore Luigi Filippo d'Orleans venne sostituita da una repubblica «democratica», poi Vienna, Budapest, Francoforte, Milano, estendendosi a tutti gli Stati d'Italia.
Garibaldi — che l’anno precedente aveva offerto i suoi servigi a Pio IX — tentò di arruolare, con i fondi avuti da Mazzini, un certo numero di suoi compagni, ma riuscì a raccoglierne solo sessantatrè, alla testa dei quali sbarcò nel Regno di Sardegna. Respinto da Carlo Alberto di Savoia, si mise agli ordini di Gabrio Casati, Presidente del sovversivo e illegittimo governo provvisorio di Milano, che lo inviò contro gli Imperial-Regi nel Varesotto, dove, tra una scaramuccia e l’altra, si distinse ancora una volta nel taglieggiare le popolazioni , finché venne costretto a riparare in Svizzera. Dopo l’armistizio di Salasco, che pose momentaneamente fine alla guerra austro- piemontese, Garibaldi marciò alla volta di Roma, dove la situazione era andata sempre peggiorando da quando il Pontefice, con l’allocuzione concistoriale del 29 aprile, aveva solennemente rifiutato di porsi alla testa della Rivoluzione in Italia. In autunno, dopo l’assassinio del Ministro Pellegrino Rossi, i settari, ormai padroni della piazza, costrinsero Pio IX a rifugiarsi a Gaeta, presso l’ospitale Ferdinando II delle Due Sicilie .
Garibaldi s’impegnò inizialmente nella repressione del «brigantaggio» (oppositori della Rivoluzione); quindi, eletto deputato della Costituente, si recò a Roma, partecipando alla proclamazione della dispotica repubblica e della decadenza del potere temporale dei Papi, il 9 febbraio 1849. La soppressione del Principato civile del Pontefice doveva essere la prima mossa per la distruzione della Chiesa cattolica, unica reale antagonista della Rivoluzione . «.Chi non sa — afferma accoratamente il Papa da Gaeta — che la città di Roma, sede principale della Chiesa cattolica, è ora divenuta ahi! una selva di bestie frementi, riboccando di uomini d’ogni nazione, i quali o apostati, o eretici, o maestri del comunismo, o del socialismo, ed animati dal più terribile odio contro la verità cattolica, sia con la voce, sia con gli scritti, sia in altro qualsivoglia modo si studiano a tutt’uomo d’insegnare e disseminare pestiferi errori di ogni genere, di corrompere il cuore e l’animo di tutti, affinché in Roma stessa, se sia possibile, si guasti la santità della religione cattolica, e la irreformabile regola della Fede.
Mentre la propaganda anticristiana raggiungeva il suo culmine, si moltiplicavano le occupazioni e i saccheggi di conventi e di monasteri, nonché gli atti di violenza contro la popolazione, al suono di una Marsigliese così trasformata: «Allons enfants de sacristie/Le jour de honte est arrivé». Garibaldi, a sua volta, secondato da padre Gavazzi , incitava a «sempre più ispirare nel popolo romano inestinguibile odio contro quel potere da esso per sempre rovesciato allorché aveva proclamato la santa parola di repubblica» . La nefasta repubblica, in realtà, aveva i giorni contati. Luigi Napoleone Bonaparte, l’antico carbonaro Presidente della repubblica francese, spinto dall'opinione pubblica cattolica francese e ansioso di precedere l’intervento austriaco, decise di inviare un contingente di truppe per riportare il Pontefice a Roma. Garibaldi, che il mese prima si era salvato a stento, a Velletri, di fronte alla carica di un reggimento della cavalleria napoletana inviato in difesa dei territori della Santa Sede, non poté contrastare la superiorità francese e dovette ritirarsi verso l’Italia settentrionale. «Mossomi da Tivoli verso tramontana per gettarmi tra popolazioni energiche e suscitarne il patriottismo, non solo non mi fu possibile riunire un sol uomo, ma ogni notte [...] disertavano coloro che mi avean seguito da Roma» . L’Appennino venne attraversato due volte, ma la popolazione «non rispondeva all’appello», anzi, era dichiaratamente e saggiamente ostile. «Le città si serravano, le campagne lo imprecavano; egli dove poteva requisiva a forza vettovaglie e denari, poneva taglie, pigliava ostaggi, né li rilasciava senza pria la moneta» .
Garibaldi si mostrò stupito dal mancato sostegno popolare e addossò le colpe di ciò, come sempre, ai sacerdoti: «Ho veduto i preti stessi, col crocefisso alla mano, condurre contro di noi i nemici del mio paese [...] . Collo stato depresso dei cittadini, come dissi, e quello ostile della campagna in mano ai preti, ben precaria diventava la condizione nostra, e presto noi sentimmo gli effetti della reazione rinascente in tutte le province italiane» . Di fronte all'inattesa reazione della parte sana dei popoli d'Italia , che ancora una volta si stringevano a difesa del Trono e dell’Altare contro la brutale aggressione rivoluzionaria, Garibaldi, abbandonato dai suoi e vedovo per sua mano assassina di Anita, dovette congedare i resti del suo esercito e abbandonare la Penisola, in attesa di tempi per lui migliori.
. |
L'esplosione rivoluzionaria del 1848 si era rivelata prematura e ciò rese necessaria una «tregua», che permettesse di continuare a livello diplomatico l’opera forzatamente interrotta sui campi di battaglia. In Italia, il machiavellico e anticlericale Primo Ministro sardo, Conte di Cavour , cominciò a tessere un’abile trama di intrighi, legando alla causa rivoluzionaria italiana, ormai apertamente patrocinata dalla dinastia sabauda, anche Napoleone III e l’inglese settario Lord Palmerston. Un’aspra e diffamatoria campagna venne condotta, a livello europeo, contro Roma e i legittimi governi della Penisola, mentre il Regno Sardo s’impegnava in una violenta persecuzione anticattolica, coperta dalla perniciosa formula «Libera Chiesa in libero Stato» .
Nel 1856, inoltre, si costituì a Torino la Società Nazionale, per coordinare l’azione settaria in vista dei futuri rivolgimenti. Giuseppe Garibaldi, che in quegli anni era tornato marinaio sulle rotte dell’America Meridionale, dell’Australia e della Cina come schiavista , decise di rientrare nel Regno di Sardegna, passando per Londra, dove s’incontrò con Mazzini e con i «democratici» della loggia «Philadelphes». La mancata partecipazione del saggio popolo ai numerosi tentativi insurrezionali — ultimo dei quali fu quello del 1853 a Milano — lo avevano convinto che occorreva puntare su un soggetto politico sicuro, il Regno Sardo, per realizzare in tempi brevi la coatta unificazione rivoluzionaria dell’Italia. La formula «Italia e Vittorio Emanuele», con la conseguente accettazione momentanea della monarchia quale «alleato», venne proclamata dal nizzardo come l’unica valida per accelerare la laicizzazione del Paese. «Se sorgesse una società del demonio, che combattesse dispotismo e preti, mi arruolerei nelle sue fila» disse il folle Garibaldi.
Nel 1857 aderì alla Società Nazionale, quindi strinse intese politiche con Cavour che, dopo gli accordi di Plombiéres con Napoleone III, aveva progettato di affidargli un colpo di mano, poi cancellato, per provocare l’intervento dell’Impero asburgico e il conseguente ingresso in guerra della Francia a fianco del Piemonte. Il conflitto scoppiò, comunque, l’anno seguente e Garibaldi vi prese parte con il grado di Generale di Brigata dell’esercito sardo, al comando di un corpo mercenario di Cacciatori delle Alpi. Dopo l’armistizio di Villafranca, divenne Maggiore Generale dell’esercito dell’Italia centrale, costituito per tenere sotto controllo quelle province, sottratte arbitrariamente al Pontefice e ai legittimi sovrani: iI 26 marzo 1860, Pio IX lanciò la scomunica maggiore contro tutti coloro che, in qualunque modo, avessero cooperato all’usurpazione, ribadendo, con la Lettera Apostolica Cum catholica Ecclesia, del 26-3-1860, la necessità del Principato civile del Pontefice.
Agli inizi del nuovo anno, ricevette l’ordine di sbarcare in Sicilia per concorrere con la sua azione all’abbattimento della dinastia borbonica, cercando di dare all'operazione una parvenza di "legittimazione popolare". Garibaldi accettò, avendo però in animo di proseguire, una volta costituito con una leva in massa un grande esercito «di popolo», fino a Roma, il suo obiettivo di sempre. La spedizione garibaldina nelle Due Sicilie fu un'operazione di autentica pirateria, condotta da un gruppo di soldati congedati e armati non aventi alcuna legittimazione giuridica, contro le più elementari norme del diritto, finanziata e sorretta dal Regno Sardo e dall’Inghilterra, con l’obiettivo di ribaltare le legittime istituzioni di uno Stato sovrano, annesso forzatamente dopo un artificioso «plebiscito».
«La nazione italiana, prima una nella fede e nella diversità, viene unita nell’errore, cui si accompagna l’imposizione spesso crudele di una uniformità che è piuttosto rivoluzionaria che piemontese. Cadono tutte le Case regnanti, vengono disperse tutte le classi dirigenti che hanno servito la Cristianità a diverso titolo fin nelle terre più lontane, le differenze regionali e storiche sono interamente bandite, la religione e i suoi ministri perseguitati» scrive G. CANTONI ne "L’Italia tra Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, cit., p. 14." . Un vero e proprio saccheggio seguì alla invasione delle Due Sicilie , con latrocini e profanazioni di chiese e di conventi, persecuzioni nei confronti dei Vescovi e del clero, oppressione in tutti i modi della popolazione, imposizione di una legislazione del tutto estranea alle tradizioni di quelle terre. E quando i contadini e tutti coloro che erano fedeli alla dinastia — bollati come «briganti» dalla storiografia ufficiale — presero le armi per difendere l'indipendenza della Patria e la Religione offesa, i garibaldini prima e l’esercito sardo poi soffocarono nel sangue l’anelito delle popolazioni duosiciliane , macchiandosi di violenze e di atrocità . Ma l’"Unità" coatta era fatta ed erano riusciti «a rendere precaria la sopravvivenza temporale della Cattedra di verità e ad abbattere molte storiche barriere elevate a difesa del costume e della morale del popolo» .
Dopo la proclamazione dell'illegittimo Regno d’Italia, Garibaldi rimase condizionato dalla mancata conquista di Roma e dalla necessità di «plasmare» la nuova fantomatica nazione. Tra il 1861 e il 1870, il suo anticlericalismo si rivolse direttamente contro l'organizzazione e la presenza della Chiesa in Italia e mirava alla identificazione del principio morale dello Stato con la cultura laica, intesa in senso anticattolico.
Egli riteneva che la lacerazione tra «Paese legale» e «Paese reale» fosse conseguenza del radicamento della «cultura religiosa» in gran parte del popolo, alla quale occorreva opporre una «cultura popolare», fondata su una nuova concezione della religiosità, di cui però non sapeva definire le basi . Mentre altri operavano a livello della minoranza «colta», Garibaldi puntò alla diffusione di fermenti anticattolici presso i ceti popolari. In forme più immediate e comunicative , egli intraprese e favorì una vasta opera «educativa», anche con la capillare diffusione di opuscoli e di catechismi che attribuivano a lui, "inviato da Dio", la vera rappresentanza della legge di Cristo contro le «imposture del Papa». Sono di quegli anni le sue battaglie per assicurare pieni diritti ai protestanti, agli ebrei e ai «liberi pensatori» — al cui movimento diede pubblica adesione nel 1864 — per secolarizzare i beni ecclesiastici, per laicizzare l'istruzione elementare, per estendere ai chierici l’obbligo del servizio militare, per abolire le facoltà di teologia e diffondere la pratica della cremazione, per togliere alla Chiesa «il pascolo dei morti» . Egli promosse anche una miriade di organizzazioni culturali, società operaie, leghe, fratellanze, che dovevano contribuire a trasformare il paesaggio socio-culturale dell’Italia unita. Perno di questo fronte laico e radicale doveva essere la Massoneria: «Io sono di parere che l’unità massonica trarrà a sé l’unità politica d’Italia [...] . Io reputo i massoni eletta porzione del popolo italiano. Essi [...] creino l’unità morale della Nazione. Noi non abbiamo ancora l’unità morale; che la Massoneria faccia questa, e quella sarà subito fatta» .
L’Italia così disgraziatamente unificata andava inserita in un sistema che prevedeva gradualmente una federazione europea, la formazione di grandi sistemi etnico- linguistici e, infine, l'unità mondiale della Umanità, definitivamente avviata alla costruzione delle «magnifiche sorti e progressive» . Con quel terrificante programma, Garibaldi, già creato «maestro» a Palermo nel 1860, quindi «Primo Massone d’Italia» dal dicembre 1861, accettò l’anno seguente la carica di Gran Maestro del Supremo Consiglio Scozzese di Palermo, e, nel 1864, anche quella di Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, riunito a Firenze . Fino al 1869, lavorò attivamente per conferire alla Massoneria l'unità e un potere determinante nella vita del Paese; successivamente abbandonò ogni carica, tranne quella di Gran Maestro onorario, conferitagli a vita, ma i suoi successori furono per lungo tempo garibaldini di stretta osservanza.
Dopo la brigantesca impresa nelle Due Sicilie , Garibaldi non aveva abbandonato le armi. Nel 1862 tentò invano di forzare la mano al governo sulla questione di Roma, sbarcando in Calabria, ma i tempi non erano ancora maturi e venne fermato «diplomaticamente» a fucilate e cannonate sull’Aspromonte. Nel 1866, scoppiata la guerra austro-italo-prussiana, volle dare il suo teatrale contributo militare all’aggressione contro l’Impero asburgico. Nel 1867, infine, godendo del larvato appoggio governativo, si accinse a risolvere definitivamente la questione romana.
Per tutto l’anno percorse la Penisola, aizzando l’odio contro la Chiesa, seminando calunnie sul conto del Papa e del clero, sollecitando gli uditori a rovesciare «il più schifoso dei Governi» , il «Governo di Satana» , lanciando appelli perché «quei signori preti che per tanti secoli l’hanno (Roma) goduta, deturpata, trascinata nel fango [...] ci lasciassero la nostra capitale» .
Inviò un messaggio alla V Costituente massonica, riunita a Napoli, in cui era detto: «Essendo la Massoneria il più antico propugnacolo del diritto e della coscienza, quindi il vero antagonista del Papato, che è l’antitesi del progresso e della civilizzazione; io imploro tutti i miei Fratelli di tutte le Loggie italiane ad interessarsi dei poveri Romani, oppressi dall’acerrimo nemico dell’Italia e dell’Umanità» . In settembre [1867], si recò a Ginevra per proporre al Congresso della pace un codice «universale di progresso», di cui alcuni articoli toccavano la questione religiosa: «6° Il papato, essendo la più nociva delle sette, è dichiarato decaduto. «7° La religione di Dio è adottata dal Congresso e ciascuno dei suoi membri si obbliga di propagarla. Intendo per religione di Dio la religione della verità e della ragione. «8° Supplire al sacerdozio delle rivelazioni e della ignoranza col sacerdozio della scienza e della ragione».
Per dare concretezza a questi programmi, in ottobre [1867] Garibaldi, alla testa di «coorti di sciagurati, ardenti di delittuoso furore» , invase lo Stato Pontificio, mentre alcuni suoi complici cercavano d’indurre follemente i romani alla sollevazione, necessaria per chiedere l’intervento dell’esercito italiano-unitarista ed eludere quello dei francesi.
I «poveri romani oppressi», saggiamente , rifiutarono d’insorgere, e le cose andranno ugualmente nelle campagne. Gl’invasori si scagliarono allora contro Monterotondo, eroicamente difesa fino all’ultimo dai pochi zuavi pontifici li di stanza; la città, che «poca simpatia s’era meritata, per il mutismo e l’indifferenza, quasi avversione, manifestata» , venne messa a sacco dai «liberatori». In particolare, i garibaldini se la presero con le chiese, infrangendo le urne con le reliquie dei Santi, mutilando le immagini sacre e profanando le ostie consacrate . Dopo questa blasfema impresa, l’offensiva rivoluzionaria stagnò nella campagna romana e Garibaldi dovette fare i conti con la diserzione in massa dei suoi uomini, arruolatisi in maggioranza per sete di denaro e per speranza di saccheggi. D’altra tempra erano invece i volontari cattolici francesi della Legione d’Antibes, che rimasero a fedele presidio di Roma. Lo scontro decisivo avvenne a Mentana, il 3 novembre [1867], e i garibaldini vennero sbaragliati dai pontifici del Generale Kanzler, appoggiati nelle retrovie dai francesi di De Polhés, che Napoleone III era stato nuovamente spinto a inviare. Fu l’ultimo tentativo operato da Garibaldi per strappare la città di Roma al Pontefice. Due anni dopo aderì all’Anticoncilio massonico, indetto a Napoli in coincidenza con l’apertura del Concilio Vaticano I, invitando i partecipanti a «rovesciare il mostro papale, edificare sulle sue rovine la ragione e il vero [...], eliminare il prete-bugiardo e sacrilego insegnatore di Dio» .
Nel 1870, altri colsero l’occasione per occupare Roma; si compì il diabolico Risorgimento, attraverso quello che Adriano Lemmi, terrorista discepolo di Mazzini e futuro Gran Maestro della Massoneria, qualificò come «il più memorabile avvenimento della storia del mondo» , cioè la soppressione del legittimo potere temporale dei Papi, primo passo verso l’auspicata , dai settari, distruzione della Chiesa cattolica.
Dopo Porta Pia, Garibaldi, ancora non pago della nuova situazione, si batté per l’abolizione delle corporazioni religiose, la laicizzazione dell’assistenza, l’eliminazione dei privilegi riconosciuti al clero dalla legge sulle guarentigie, l’elevazione dell’anticlericalismo a internazionalismo laico, da contrapporre al cattolicesimo della Chiesa. «In tal modo, la "nuova Italia" — commenta Mola — venne inserita in un "movimento" che abbracciava positivisti ed evoluzionisti, ateisti dichiarati e socialisti, le denominazioni protestantiche, gli anglicani, le sorgenti società teosofiche e giungeva sino ai vecchi cattolici, ribelli contro l’infallibilismo pontificio, e contribuì dunque a liberare l’unificazione italiana dai confini strettamente peninsulari» . Grande attenzione Garibaldi continuò a dedicare alla diffusione della «religiosità laica», non solo con appelli, messaggi e interventi personali, ma anche con i suoi romanzi, un misto di falsità storiche e di pornografia, in cui le parti principali erano spesso affidate a sacerdoti e a Cardinali, presentati, secondo il suo stile, nelle forme più ripugnanti e nefande. Gli «ultimi anni di vita — scrive padre Pietro Pirri S.J. — sono anche i più miserevoli sotto l’aspetto morale. G. [aribaldi] non trovò di meglio che sfogare i suoi crucci con libri in prosa e in versi, per lo più insulsi, riboccanti di volgari ingiurie e di denigrazioni contro il clero e il Papa, e di roboanti declamazioni contro una società che aveva il torto di non pigliare sul serio i sogni della sua mente ottenebrata da vieto anticlericalismo e da grette idealità massoniche» .
Quanto all’attività politica, dopo il 1871 Garibaldi si trovò alle prese con una nuova divisione sorta a indebolire la sinistra: l’«internazionalismo» marxista, cui egli contrapponeva un’altra più grande «internazionale», la Massoneria, alla quale era fedele dagli anni di Montevideo. Sul finire del 1871, prese pubblicamente le distanze dall’internazionalismo comunardo, pur con il rimpianto di non essersi trovato a Parigi «per propugnarvi la causa della giustizia traviata dai soliti dottrinari» e, al tempo stesso, per difendere i diritti del popolo parigino, «conculcati da un amalgama informe di monarchisti, di preti e di soldatesca degna di servirli» . La Internazionale esprimeva, per Garibaldi, al più, il sogno di un abbraccio generale fra gli uomini e il modello di un’associazione anticlericale per eccellenza ; bisognava lasciare da parte, invece, «certe massime inaccettabili, ad esempio queste: la proprietà è un furto, l’eredità è un altro furto, massime le quali, a parer mio, non meritano neppure d’esser discusse» 80 . Al fido amico Pallavicino confidava: «Io non tollero all’Internazionale [...] le sue velleità antropofaghe [...]. Manderei in galera [...] gli archimandriti della società in questione, quando questi si ostinassero nei precetti: "Guerra al capitale"; "la proprietà è un furto"; "l’eredità è un altro furto" e via dicendo. Nessuna ingerenza ho io nell’Internazionale, e certo perché sanno non approvar io tutto il loro programma» . Nel 1879, Garibaldi chiamò nuovamente a raccolta le forze radicali, unite prima nel Patto di Roma, poi nella Lega della Democrazia, attorno all’unica «forza sovrapartitica della terza Italia»: la Massoneria. Era la premessa ai successivi tentativi dei «fratelli» Adriano Lemmi ed Ernesto Nathan di unire, grazie alla Libera Muratoria, tutti i partiti «liberali», in antitesi ai «clericali». Negli ultimi anni della sua vita, Garibaldi, che aveva spesso optato per una struttura massonica «aperta», al fine di facilitare la comunione dei diversi corpi massonici, tornò a preferire strutture verticizzate e forme più riparate di iniziazione, chiudendo la propria carriera come Grande Ierofante del Rito Antico e Primitivo, suprema carica dei rami di Memphis e di Mizraim, ottenuta nel 1881.
Vecchio e ammalato, volle presentarsi alle elezioni del 1880, con il programma di sempre: abolizione delle guarentigie papali; riduzione del culto cattolico ad «affare privato» dei singoli; sostituzione dell’esercito permanente con la «Nazione armata», affinché l'educazione militare di massa e quella scolastica obbligatoria portassero a termine in poche generazioni la colossale «evangelizzazione» delle masse, necessaria per «fare gli italiani» come lui desiderava: liberi da «pregiudizi» e da «superstizioni», fiduciosi nella utilità delle scienze e nel Progresso, pronti a sacrificarsi per il supremo bene della Umanità. Pochi mesi prima di morire, Garibaldi si recò a Palermo, in occasione del settecentesimo anniversario dei Vespri Siciliani, e di là manda il suo ultimo messaggio: «Cacciare dall’Italia il puntello di tutte le tirannidi, il corruttore delle genti, il patriarca delle menzogne che, villaneggiando sulla destra del Tevere, sguinzaglia di là i suoi cagnotti [...] : il papato, infine!» . Quella volta Leone XIII volle rispondere direttamente alle accuse, rigettando il «reo disegno di accendere contro i Sommi Pontefici l’odio delle plebi: disegno, che di giorno in giorno va facendosi più chiaro e manifesto [...] . Nelle accuse, di cui ragioniamo, Ci commosse oltremodo l’intrinseca malvagità della cosa in sé stessa, e il pericolo delle moltitudini men colte, maggiormente esposte a essere aggirate e tratte in inganno» .
Garibaldi morì a Caprera, il 2 giugno 1882 . Nel suo testamento, proclamandosi apostolo della «libertà» e del «vero», chiese la cremazione del proprio cadavere, e dichiarò di volere rifiutare ogni conforto religioso: «[...] trovandomi in piena ragione oggi, non voglio accettare in nessun tempo, il ministero odioso, disprezzevole e scellerato d’un prete che considero atroce nemico del genere umano e dell’Italia in particolare» . Ostinato fino all’ultimo nell’errore, Garibaldi rese infine l’anima a quel Dio che infallibilmente giudica secondo le opere e al quale è necessario rivolgere le nostre preghiere per ottenere che al più presto il Cuore Immacolato di Maria trionfi, come da lei promesso a Fatima , sulla Rivoluzione.
Amedeo G. Bellizzi
Fonte: Associazione Legittimista Trono ed Altare
Fonti:
G. GARIBALDI , Scritti e discorsi politici e militari, cit., vol. III (1867-1882).
Cfr. ANTONIO AUGUSTO BORELLI MACHADO , Le apparizioni e il messaggio di Fatima, 2a ed. it., Cristianità, Piacenza 1982.
PIETRO PIRRI S.J., Voce Garibaldi, in Enciclopedia Cattolica vol. V, p. 1942.
Cfr. P. BALAN , Storia d’Italia, cit., vol. X.
A. A. MOLA , Garibaldi vivo.
GIACOMO LEOPARDI , La ginestra o il fiore del deserto, V. 51.
Scritti politici e militari. Ricordi e pensieri inediti.
G. CANTONI , L’Italia tra Rivoluzione e Contro-Rivoluzione.
CARLO ALIANELLO , La conquista del Sud, Rusconi, Milano 1972;
PIER GIUSTO JAEGER , Francesco II di Borbone. L’ultimo Re di Napoli, Mondadori, Milano 1982.
Epistolario, vol. IV, Roma 1982.
A. A. MOLA , Storia della Massoneria italiana dall’Unità alla Repubblica, Bompiani, Milano 1976.
G. GARIBALDI , Memorie.
GIACINTO DE Sivo, Storia delle due Sicilie dal 1847 al 1861, Berisio, Napoli 1964, vol. I.
P. BALAN , Storia d’Italia, cit., vol. X.
G. GARIBALDI , I Mille.
P. BALAN , Continuazione della storia universale della Chiesa cattolica dell’abate Rohrbacher, cit., vol. I, p. 583.
Istruzione segreta permanente data ai membri dell’Alta Vendita, in E. DELASSUS , op. cit., vol. I, p. 586.
ALDO ALESSANDRO MOLA , Garibaldi vivo, Mazzotta, Torino 1982.
CARLO GENTILE , Giuseppe Garibaldi. Il gran maestro dell’umanità, Bastogi, Foggia 1981
ALDO VALORI , Garibaldi, UTET, Torino 1941.
NORO MONTANELLI e MARCO NOZZA , Garibaldi, Rizzoli, Milano 1968.
GIUSEPPE MAZZINI , Scritti editi ed inediti, Galeati, Imola, edizione nazionale iniziata nel 1909 e proseguita fino al dopoguerra, vol. I.
G. CANTONI , La «lezione italiana», Cristianità, Piacenza 1980.