'Cu dici ciciri e cu dici favi, ma iu dicu ca chistu era cristianu bonu!'. Le munificenze di Ferdinando di Borbone in Sicilia

Mercoledì 19 Novembre 2014 13:37 Massimo Plescia
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PALERMO - Spesso stavo nella casa dei miei nonni a Marineo, quando era caldo e le scuole chiudevano; per me arrivava una sorta di vera e propria libertà meritata e desiderata, un intero anno. Ancor oggi, le emozioni che ogni volta ritrovo nel paese natale dei miei nonni sono infinite, mi bastano gli odori, solcare i passi già solcati da migliaia di persone passate e presenti, camminare ancora una volta nelle strade di quando da piccolo andavo in cerca dei miei tesori, guardare il castello Asburgico chiuso da sempre e oggetto della mia immaginazione ed ora divenuto un museo aperto sulla valle dell'Eleuterio e sulla storia di Makella (antico nome greco di Marineo), per rituffarmi nelle mille fantasie d’infanzia, quando in quella o nell’altra strada, dove riesce a passare solo un’automobile alla volta, rintracciavo i miei pochissimi amici…

Ed ecco che mi tornano in mente delle domande di cui non ho saputo ed avuto mai risposta, sul come e sul perché delle cose. In età adulta, ho studiato la storia della mia famiglia, e con essa quella della mia terra. Oggi, ho potuto avere la possibilità di leggere il libro del professor Tuzzolino dove, cita le parole ed i racconti storici di un vecchio Sacerdote Marinese, Sac Giuseppe Calderone. Tra i tanti studi sulla vera storia della mia terra, ho avuto un tuffo al cuore quando con mio sommo piacere ho letto: “ Dalle memorie storico-geografiche di Marineo ed i suoi dintorni del Sac. Giuseppe Calderone, ridotte ed rielaborate dal prof. Mimmo Tuzzolino Andando in giro per il paese, mi sono accorto che “la via del Re” ha cambiato nome in “Unità d'Italia”.

Nome rispettabilissimo che ci riporta all'epopea risorgimentale […] ma, leggendo il libro del Sac. Giuseppe Calderone, unico che del popolo marinese del passato, si sia mai elevato nel campo della storia, […] se vogliamo essere giusti, la storia di Marineo non può essere disgiunta da Ferdinando III di Borbone Re di Sicilia, personaggio al quale si riferiva quella targa stradale. Ora soppressa. I grandi benefici ricevuti da questo monarca, specialmente i tempi calamitosi e di angustie, quando Marineo rischiò la totale rovina dalla quale fu preservata per la munificenza regale.

Era l'anno 1800. il paese fu investito da una terribile frana che lo distrusse quasi per metà. Le acque invernali causarono il movimento verso valle del suolo argilloso su cui erano edificate le case. Tutti i quartieri ne risentirono, ma alcuni si sgretolarono sparendo dalla faccia della terra. Fortunatamente non ci furono vittime e si salvò il salvabile, ma lo squallore invase il nostro paese. Gran parte degli abitanti andarono esuli in paesi stranieri vicini e lontani. Quelli che restarono, si rifugiarono nelle “pagliere” o presso i parenti, affrontando terribili disagi che causarono loro prima la perdita della salute e poi della vita!

Si diffusero perniciose febbri tifoidee che fecero grande strage e altre epidemie dovute ai miasmi causati dalla frana. La mortalità aumentò. I libri dei parrocchiali rilevano che la catastrofe provocò la morte di un quinto della popolazione. In tale calamità e desolazione l'animo pietoso del Re si diede a soccorrere, con provvida mano, questo disastro comune impotente da solo a risolvere i propri problemi. Da prima egli impartì larghe elemosine agli indigenti che mancavano di tutto e chiamò i medici dalla capitale ed altre parti per curare gli infermi.

Dispose che agli ammalati poveri si dessero gratis medicine e viveri. Fece prosciugare gli acquitrini e costruire delle fognature. Deviò il corso delle acque raccogliendole in un grande acquedotto in muratura che fu detto “Massimo”. Sul confine delle terre comunali alla “Balata” fece elevare una solida muraglia sulla soglia del vallone e ciò per condurre le acque dei terreni franosi in parti più solide. Per alleviare l'affollamento di molte abitazioni in cui convivevano parecchie famiglie, fece elevare un rione di nuove abitazioni in un punto fermo ed in sito arieggiato, lontano dal luogo franoso.

Queste nuove case le distribuì gratuitamente ai poveri ed alle famiglie decadute che la frana aveva privato di ogni risorsa. Tutta la contrada dove ora passa la strada nazionale che fu detta “via del Re”, fu edificata da Ferdinando III di Borbone e quella via, fin dalle origini conserva la momoria della Reale Beneficenza. […] per quanto riguarda il rapporto che Ferdinando II di Borbone ebbe con Marineo, Padre Calderone scrive che il Re, quando si recava a Ficuzza, usava la carrozza fino a Marineo, dove la strada s'interrompeva e soleva sostare al Crocifisso, nell'ex ospedale del monte Oliveto, (oggi sede della fondazione Arnone) e ivi talvolta passava la notte; ma più spesso faceva solo una sosta ma poi continuava il suo viaggio a cavallo fino alla sua villa (a Ficuzza).

Durante la su sosta riceveva i rappresentanti del popolo e il clero e partecipava in Chiesa alla benedizione col SS. Sacramento. S'intratteneva con la gente che, non sapendo cosa dire, ripeteva continuamente “Grazia Maestà” distribuiva delle monete e cercava di capire cosa chiedessero. Una volta una vecchietta insisteva più di tutti, invocando: “Grazia Maestà”. La regina la notò ed invogliò il Re a farsi dire cosa volesse. Interrogata dal Re, su che grazia volesse, quella candidamente rispose “la grazie dell'anima, Maestà”. Il Re divertito che proprio quella era una grazia che non era di propria pertinenza e la invitò a chiederla a Dio, unico e solo dispensatore di tale dono.

Per la festa del patrono veniva a Marineo e partecipava alle liturgie in chiesa dove gli sistemavano il trono. Costruivano anche un palco nella piazza antistante alla chiesa, dal quale Ferdinando assisteva alla corsa dei “barbari” (Così chiama P. Calderone i cavalli delle tribù berbere), detti dagli spagnoli “jneti” da cui “ginetti” o “riannetti” come io stesso ricordo noi da bambini chiamavamo i cavalli da corse durante la festa di S.Ciro. Dal palco il Re assisteva anche alla processione ed, essendo di origine spagnola, si compiaceva per il fatto che gli uomini del popolino, in quell'occasione si vestivano alla maniera spagnola, con i pantaloni corti e neri, le calze bianche e le scarpe adorne di larghe fibbie d'argento, con bottoni al collo ed al petto e fermagli d'argento ai polsi ed alle calze. Da quanto detto ne consegue che, in tutta la storia della sua esistenza, Marineo, anche se per breve tempo, ebbe l'onore di avere questo Re come unico interlocutore interessato e generoso.

Certo Re Ferdinando, non fu uno stinco di santo, e commise parecchi errori, come del resto tutti i sovrani del suo tempo ed i politici di tutti i tempi, ma a Ficuzza viveva con suoi dipendenti marinesi. E i marinesi ottennero da lui del bene tangibile in un momento difficile. Se qualcuno, in una nostra difficoltà vuole aiutarci, gli chiediamo forse la schedina penale prima di accettare l'aiuto? E non gli siamo grati per la vita? Diceva il saggio Padre Plescia: Cu dici ciciri e cu dici favi, ma iu dicu ca chistu era cristianu bonu!” perchè dimenticare Ferdinando III di Borbone re di Sicilia?

Massimo Plescia


'Cu dici ciciri e cu dici favi, ma iu dicu ca chistu era cristianu bonu!'. Le munificenze di Ferdinando di Borbone in Sicilia