L’agiografia risorgimentale ha ovviamente condizionato anche la trattazione delle vicende del luglio 1860 a Messina e la breve permanenza di Garibaldi in quel di Capo Peloro. Se a ciò si aggiunge l’esclusione e/o la totale disconoscenza, spesso di natura ideologica, dei periodi storici precedenti e successivi a quell’anno, si viene a creare uno dei tanti enormi e pericolosi vuoti di cui Messina è troppo spesso vittima. Poiché ai fini della ricerca storica e lo studio approfondito dei reperti, è piuttosto riduttivo, superficiale se non ridicolo ridimensionare la storia di questo importantissimo luogo ai soli fatti del 1860, è bene tenere nella giusta considerazione che esso fu sede di ben più antiche batterie, postazioni, trinceramenti e fortificazioni in genere, protagoniste di numerosi eventi bellici; e continuò ad esserlo sino al secondo conflitto mondiale.
Dunque è bene fare un breve excursus circa i periodi storici che interessarono Capo Peloro, partendo, per non dilungarsi eccessivamente, dalla fine del Seicento.
Nel dicembre 1674 gli Spagnoli, nell’ambito della rivolta messinese, vi effettuarono uno sbarco protetto da 15 galere che bombardarono la torre, poi conquistata con tutti i cannoni. Molteplici in tale contesto i duelli tra le artiglierie navali spagnole e i cannoni della Torre del Faro. Tuttavia il luogo fu a più riprese conquistato e perso, quindi presidiato a fasi alterne da Spagnoli, Francesi e Messinesi. Il Romano Colonna a tal proposito afferma: «e per non lasciar dell’intutto libera la campagna ai messinesi, restati già chiariti, che i francesi non portarono soldatesca bastante a guarnire la città, e guardare quella, fecero nuovo sforzo di fortificarsi nella Torre del Faro, fabbricando ivi un forte con molti cannoni, e formando in quella pianura un campo di un grosso numero di soldati». Altri testi raccontano della costruzione nella punta del Faro «di un fortino ben guarnito con artiglieria e gente armata e stipendiata di sopra».
Nel XVIII le mire delle potenze europee, che a vario titolo e per motivi commerciali puntavano allo smembramento dell’impero spagnolo, portarono a una fase complessa di giochi e intrecci che scaturirono in quella che fu definita la guerra di successione spagnola (1702-1713/14), che si concluderà sostanzialmente col trattato di Utrecht, tramite il quale la Sicilia passerà in mano ai Savoia.
Tale situazione aveva nel frattempo consentito che i pirati inglesi, francesi e olandesi invadessero il Mediterraneo, depredando anche il naviglio vario che passava nello stretto di Messina. Alcune documentazioni infatti segnalano nel 1711 la presenza di quattro galeotte triremi spagnole ben armate, che terrorizzavano le coste calabresi, tanto che il governo di Napoli inviò due nuove galere per pattugliare le coste e scortare i convogli di grano e derrate alimentari provenienti dall’Adriatico attraverso lo stretto.
Interessante anche il periodo circa la guerra della quadruplice alleanza (1717-1720), nel quale la Spagna si contrapponeva a Olanda, Inghilterra, Austria e Francia, per il controllo del Mediterraneo. Nel 1717 la Spagna aveva invaso la Sardegna e nel contempo, insieme all’Austria, era interessata alla Sicilia nonostante Utrecht; infatti il primo luglio 1718 un contingente spagnolo forte di trentamila soldati e protetto da 22 navi, sbarcò a Palermo mentre i sabaudi evacuavano l’isola ritirandosi presso la Cittadella di Messina, che fu posta sotto assedio. Ma l’intervento della flotta inglese dell’ammiraglio Byng, che sbaragliò quella spagnola presso Capo Passero (Siracusa) nell’agosto dello stesso anno, capovolse la situazione. Gl’inizi della battaglia si erano avuti nello stretto di Messina, nella cui porzione nord era ancorata la flotta spagnola, protetta dalle batterie costiere. In seguito truppe austriache e inglesi (sbarcate anche presso la Torre Faro nell’agosto del 1719), avevano affrontato gli Spagnoli, conquistando la Sicilia, e a quelli non fu permesso di lasciare il posto sino alla firma della pace. Lo Smith nel 1814 segnala la presenza nel porto di Messina dei relitti di due navi da guerra spagnole, riuscite a riparare dopo la battaglia di Capo Passero e affondate all’ormeggio dall’ammiraglio Byng durante l’assedio del 1719, mediante una batteria austriaca appositamente armata. Ciò per evitare sia che le navi potessero tornare in patria dopo la fine delle ostilità, sia che nascessero dispute per il possesso delle prede belliche. Si trattava di un vascello da 64 cannoni, varato nel 1716 e di una fregata da 50 cannoni varata nel 1702. Una terza nave da 56 cannoni varata nel 1703 era stata catturata presso il porto di Messina dopo la battaglia di Capo Passero.
Nel 1720 fu siglato il Trattato dell’Aia che pose fine alla guerra: gli Asburgo in cambio della Sicilia rinunciarono alla Sardegna e a qualsiasi pretesa al trono spagnolo, mentre Vittorio Amedeo II di Savoia fu incoronato re di Sardegna. La Sicilia passò dunque nel 1720 agli Austriaci che vi regnarono per 14 anni, allorquando gli Spagnoli, conquistato il Meridione d’Italia, ritornarono sull’isola e nei pressi di Capo Peloro il luogotenente Marsillac sbarcò alla volta di Messina, mentre il nemico austriaco abbandonava il presidio per ritirarsi nella Cittadella.
Quindi, a seguito della nascita del regno borbonico (1734-1861), le aree costiere siciliane furono difese già a partire dalla metà del Settecento, soprattutto a protezione delle scorrerie piratesche che infestavano il Mediterraneo. Infatti in quegli anni l’Amico descrive il villaggio del Faro dotato di una torre con «attaccata una fortezza fornita di artiglierie e custodita da un presidio di soldati sotto un prefetto». Nel 1783 la Torre del Faro era armata e definita dal De Burigny «ben munita e con presidio». Significativo l’episodio accaduto nel 1734, allorquando una tempesta scagliò sulle coste dello stretto tre navi corsare, di cui una sulla spiaggia di Capo Peloro, catturata con tutto l’equipaggio musulmano.
Nel 1799 la protezione antincursiva siciliana fu potenziata con centinaia di artiglierie per la difesa costiera, mentre la Real Marina disponeva di 86 navi varie. In realtà in quell’anno, con tutta la penisola in mano ai Francesi, fu messo in atto un vero e proprio piano difensivo della Sicilia, per cui si provvide a costruire varie barche cannoniere, a far fondere nuove artiglierie, organizzare le difese costiere e gli eserciti. In tale contesto l’area di punta Faro già presidiata da 18 artiglieri litorali nel 1792 e nel 1798 classificata come campo trincerato retto da un tenente colonnello, vide l’anno successivo l’aggiunta nel fortino del Faro di sei cannoni da 36 libbre e quattro mortai da 12 libbre e altre decine di pezzi in tutto il territorio della Piazza. Dal 1803 la Piazza di Messina (brigadiere Guillichini) poneva la sua difesa su varie fortificazioni ancora oggi esistenti, tra cui la Torre del Faro comandata da un colonnello. La Piazza di Milazzo, da considerarsi altro punto strategico, era invece nel 1803 retta da un brigadiere e nel 1807 risultavano armate quattro batterie del fronte a mare.
Con la perdita del regno di Napoli nel 1798 i Borbone si rifugiarono in Sicilia (i quali ritornati a Napoli dopo qualche anno, furono costretti nel 1806 a ripetere la fuga verso Palermo) e insieme agli alleati inglesi contrastarono il nemico franco-napoletano, il quale, disceso verso sud, si era accampato sulla costa calabra tentando di sbarcare sull’isola attraverso lo stretto.
Intensissime quindi le attività delle contrapposte flotte navali e vari gli episodi bellici tra attacchi, incursioni, cannoneggiamenti, terminati solo nel settembre del 1810 con il fallito sbarco delle truppe al comando del Murat sulle coste sud di Messina. Gli sbarchi sarebbero dovuti essere tre, di cui uno programmato a Capo Peloro, ma la reazione delle forze anglosiciliane respinse l’unico sbarco provocando il ritiro delle truppe francesi verso il nord della penisola. Intanto dal 1803 le coste del Regno erano vigilate da un totale di 419 torri litoranee servite da artiglieri litorali; nel 1806 a Messina fu costruito l’arsenale di artiglieria e nel 1808 a Messina e Milazzo (oltre alle truppe inglesi) prestavano servizio circa 500 artiglieri litorali. Il Cockburn cita nel dettaglio le tante batterie di cannoni, mortai e relativi trinceramenti inglesi (i quali posero le loro basi principali a sud, in zona Contesse e San Placido, e a nord presso Faro e Piano dei Campi, ridenominato Campo Inglese), costruiti nel 1810 a Messina su tutta la costa della città, da nord verso sud presso Mortelle, C. Peloro, Torre del Faro, Ganzirri, Fiumara Guardia, Grotte, S. Salvatore dei Greci, Messina, Contesse e Mili. Nel 1812, subito dopo la fine della minaccia francese i presidi erano ancora armati, così come bene evidenzia la mappa del piano delle fortificazioni dello stretto, a cura del Distretto di Messina. Secondo il Purdy nel 1814 in zona erano armate due batterie costiere insieme ad artiglierie nelle torri martello coordinate dal telegrafo di Spuria. Nel 1815 la Torre del Faro era una Piazza di 3^ classe al comando di un ufficiale superiore. Nel 1833 l’organizzazione militare e la classificazione delle Piazze e forti del regno, indicava la Torre del Faro come presidio di quarta classe comandato da un capitano. Inoltre uno scritto del 1834, descrivendo il villaggio di Torre Faro, evidenzia alcune batterie di cannoni poste a difesa della Torre.
Nel 1847 la Torre del Faro era ancora un forte di quarta classe e l’anno successivo l’area in questione era dotata di «un Faro utile al riconoscimento delle navi in ingresso, posto su una torre accompagnata da un fortino quadrato ben armato». Lo stesso anno il parlamento siciliano includeva la Torre del Faro nella Piazza di Messina, dipendente dalla seconda direzione di artiglieria, inserendola tra le Piazze di quarta classe.
Nel 1848 dunque, dopo l’abbandono borbonico dei presidi e il ritiro nelle fortificazioni del porto, furono i rivoluzionari siciliani ad armare, oltre a pezzi minori, quattro cannoni da 24 libbre presso il fortino del Faro, una batteria tra la Torre di Faro e la Torre Mazzone a ovest, e altre quattro batterie tra la Torre del Faro e la Torre di Ganzirri sul versante est: in totale due pezzi da 80 libbre e venti da 24 e 36 libbre (non a caso pezzi dello stesso calibro di quelli armati in loco dai garibaldini nel 1860), che in più occasioni duellarono con le artiglierie della navi borboniche. Lo Scalchi afferma che tra la torre del Faro e Messina furono costruiti dieci fortini, ciascuno armato con quattro pezzi di grossa artiglieria. Il comandante borbonico di Messina, maresciallo Pronio, segnalava nel 1848 che presso la Torre del Faro, in mano ai rivoltosi, vi era una batteria a pelo d’acqua e sei altri pezzi, oltre quelli già esistenti. Secondo i piani le batterie dovevano essere sorvegliate da ben 1000 uomini posti presso il forte di Spuria.. Interessante la documentazione che afferma che nel 1848 il senato di Palermo volesse far innalzare a punta Faro un monumento commemorativo. Nel settembre del 1848, dopo sette mesi di assedio della Cittadella da parte rivoluzionaria, protetto da una squadra navale forte di 286 cannoni che bombardarono le posizioni nemiche, sbarcò a sud di Messina il reggimento Real Marina, un vero e proprio reparto anfibio che consentì l’atterraggio di quattro battaglioni, i quali, insieme ai reparti del maresciallo Pronio usciti con una sortita dalla Cittadella, misero in seria difficoltà l’esercito rivoluzionario provocando l’abbandono progressivo dei presidi siciliani tra cui Capo Peloro con le sue batterie, Milazzo, lasciata alle truppe borboniche ancora munita di 24 cannoni di grosso calibro e 8 da campagna, sino a Palermo nel 1849. Alla fine dei fatti il capo della spedizione, tenente generale Filangeri, aveva preso ai rivoltosi di Messina 21 bandiere nonché tutte le artiglierie (oltre cento) e relativo munizionamento, barche cannoniere, un piroscafo armato e armi varie.
Nel 1852 un ufficiale borbonico ipotizzava la prosecuzione delle batterie inglesi edificate quarant’anni prima sulla costa nord della città, in modo da unire i presidi di difesa marittima di Messina e della Torre del Faro. L’Orsini nello stesso anno descriveva l’ingresso dello stretto «chiuso da un seguito di batterie bene stabilite che si prolungano dalla città sino alla torre fortificata del Faro». Nel 1856 l’area di Capo Peloro era ancora dotata di batterie, mentre vari autori segnalano nel 1860 la presenza di artiglierie presso la torre del Faro.
Nel luglio-agosto 1860 dunque, a seguito del ritiro delle truppe borboniche, l’esercito garibaldino giunse a Messina ponendo a Capo Peloro il campo base e varie batterie di artiglieria in attesa di sbarcare sul continente e proseguire la campagna di unificazione. Esistono a tal proposito non una o due, ma decine tra documentazioni e mappe, che indicano nello specifico la tipologia dei pezzi posizionati e che da sole smentiscono alcune teorie locali.
Nel frattempo i resti dell’esercito borbonico, nonostante il blocco effettivo dei presidi e i tentativi del nemico di farli desistere o passare dalla sua parte, restarono asserragliati nelle posizioni armate della zona falcata sino al 12 e 13 marzo 1861, cedendo solo a seguito degli effetti delle potenti artiglierie piemontesi, che dal febbraio 1861 assediavano le posizioni borboniche, in modo particolare la Cittadella.
Anche dopo l’Unità il luogo in questione rimase presidiato. Infatti già nel 1863 a Torre del Faro vi era un distaccamento di artiglieria, nel 1864 la torre fu classificata opera di prima categoria, nel 1865 si provvide ad armare le batterie dello stretto con artiglierie napoletane, aggiunte a cannoni da 40 libbre rigati e nel 1866 tutta l’area di Capo Peloro fu inserita nel Piano di Difesa dello Stato, seppur con successive dismissioni,attraversando via via tutte le vicende politiche e militari successive. Il luogo rimase significativo anche nel XX secolo, inserito nei vari piani difensivi redatti nel tempo (nel 1910, 1913, 1915 e 1931) e a partire dalla seconda metà degli anni Trenta fu difeso con varie batterie permanenti contraeree, costiere e a doppio compito, alle quali, in modo particolare nel 1942-43, si aggiunsero quelle campali tedesche, mentre la sommità della torre veniva munita di stazione fotoelettrica mobile su binario e il mare era pattugliato da naviglio vario tra cui le vedette antisommergibile. In modo particolare già prima della guerra erano presenti in loco la batteria MS620 della Milmart e una da 75/27 AV ad uso Dicat insieme ad una postazione per aerofono. Dalle mappe inglesi del luglio 1943 risultavano in loco: una batteria contraerea da 90 mm, una doppiocompito da 90 mm e una costiera da 120 mm. L’ultimo periodo bellico attraversato fu dunque quello del secondo conflitto mondiale, nel quale il luogo fu spesso bersagliato dalle incursioni aeree e scelto nel luglio 43 come uno dei punti di imbarco delle truppe tedesche verso la Calabria nell’ambito dell’Op. Lehrgang, ultimata con successo nell’agosto dello stesso anno.
Armando Donato
Fonte: Comitato Storico Siciliano