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Home Lezioni di storia La Sicilia tra tradimenti ed eroismi, durante l'invasione garibaldina

La Sicilia tra tradimenti ed eroismi, durante l'invasione garibaldina

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La caduta del Regno delle Due Sicilie, era ormai nell'agenda delle principali nazioni europee (Francia ed Inghilterra) che si servirono del Piemonte e delle sue mire espansionistiche (ma soprattutto del suo debito pubblico mostruoso).

Tra le cause maggiori del crollo della nazione duosiciliana, vi è sicuramente l'infiltrazione degli ideali massonici e (pseudo)liberali all'interno della classe dirigente politica (ma soprattutto militare) dello Stato; ben nascosti dietro l'apparentemente positivo valore dell'unificazione nazionale(1).

I soldati e gli ufficiali borbonici, nella loro stragrande maggioranza, rimasero fedeli al loro giuramento, non si può dire lo stesso dei generalissimi come il nostro Lanza, che in più di un occasione tolsero letteralmente la testa di Garibaldi dalla lama della baionetta.

Questi soldati ed ufficiali a causa della loro lealtà, crearono non pochi problemi ai piani dei generali traditori: ma d'altronde nemmeno gli errori tattici potevano giustificare la vittoria di Garibaldi perchè la differenza numerica e militare tra l'esercito borbonico e quello garibaldino era tale che un esito diverso dalla disfatta del Dittatore era impossibile.


Ecco cosa accadde infatti quando Von Meckel, ufficiale dell'esercito borbonico, si ravvide dell'errore commesso in battaglia:

"Il 30, nel mattino, Lanza manda a chiedere a Garibaldi una sospensione d'armi, da trattarsi, ov'egli acconsenta e ne fissi l'ora, a bordo della nave ammiraglia britannica. Fu risposto, che l'armistizio comincerebbe a mezzodì; a un'ora avrebbe luogo il convegno. Intorno alle 10, una colonna di truppe borboniche, sopraggiunta d'improvviso dalla strada di Misilmeri, attacca vigorosamente la Porta di Termini, quella stessa pur cui era entrato Garibaldi, sbaraglia gli appostamenti degl'insorti, rincaccia gli accorsi garibaldiani, prende d'assalto con impeto irresistibile otto barricate e s'impossessa della Fiera Vecchia. Era De Mechel, che, tardi riavutosi dall'errore, avea battute le orme dell'avversario, ed ora, privo d'istruzioni, agiva di suo capo. Invano Lanza manda ufficiali sopra ufficiali ad arrestarne i progressi, invano l'inglese ufficiale Wilmot, che, recando il consenso dell'ammiraglio, erasi trovato in mezzo alle schiere vincitrici, affermava la tregua. De Mechel avanzava sempre, e, già a pochi passi da Via Toledo, un movimento contemporaneo da Palazzo Reale avrebbe bastato per ripigliare con sicuro successo il resto della perduta città. Divenuto universale fra gl' insorti lo scoramento, i garibaldini gridano: siamo perduti, i Siciliani gettano le armi ed i nastri tricolori, chiedendo mercé. A quella vista desolante, Garibaldi, accorso ove più ferveva la mischia, si precipita innanzi alla barricata, cui accorrevano i regii. In quel mentre una bomba lanciata dal castello cade a un passo da lui, i Napoletani spianano i fucili pigliandolo a mira; nello stesso istante una voce possente ordina risolutamente di non far fuoco. De Mechel, maledicendo a Lanza, obbediva"(2).

Spesso si è parlato dei tradimenti dei comandanti siciliani come Landi e Lanza, soprattutto su quest'ultimo si ha la prova certa del suo tradimento, infatti la famosa fede di credito di 14 ducati che Garibaldi aveva staccato a Lanza, è ancora oggi conservata e disponibile alla pubblica visione, presso l'archivio storico del Banco di Napoli, nel capoluogo partenopeo.
E' noto inoltre che a Palermo, durante il reimbarco "forzato" dell'esercito borbonico di stanza in Sicilia, un soldato napoletano chiese al Lanza: "Eccellé, o’ vvi quante simme. E ce n’aimma’í accussí ?". Ed il Lanza gli rispose : "Va via, ubriaco"

A causa di queste ed altre situazioni, passa oggi l'idea sbagliata che a tradire furono soprattutto i comandanti siciliani.
Ciò avviene perchè i libri dell'epopea risorgimentale sono state sempre nascoste le gesta eroiche di soldati ed ufficiali di origine sicula.
Come non ricordare ad esempio le imprese del colonnello palermitano Ferdinando Beneventano del Bosco, il quale a differenza del Meckel, aveva ben capito la mossa di Garibaldi, di piombare dritto su Palermo:

"L' astuta tattica di Garibaldi è bene intesa dal generale Colonna e dal Maggiore Del Bosco, che invano insistono presso De Mechel onde ritorni senza indugio in Palermo, dove sicuramente, diceano, poteva l'avventuriere, abile partigiano qual é, ripiegare, sapendola sfornita delle più elette soldatesche dilungate ad inseguirlo sopra falsa via. De Mechel tien fermo, continua la marcia per Corleone, a piccolissime tappe, ostinandosi a dire a Del Bosco, che, presago della sventura, gli proponeva di prendere almeno la via di Marineo: «Marciate per Corleone con l'avanguardia ; prenderò tutto sopra di me.» E Del Bosco fremente arriva a Corleone, attacca i garibaldini guidati dall' Orsini, lor toglie due cannoni, e per lungo tratto li insegue senza poterli raggiungere"(3).

O altri purtroppo meno noti come il tenente Benedetto Pavone, il brigadiere Cesare Anguissola, il colonnello Francesco Cobianchi e tanti che attendono ancora l'onore del riconoscimento storico.

Concludo con questa massima che secondo me rappresenta in poche righe il nostro passato e, spero, il nostro futuro:

"La società ha bisogno di grandi scosse, o di tristi prove, per ricondurla agli eterni principi d'ordine e di governo" - Capefigue


Davide Cristaldi

Fonte: Comitato Storico Siciliano


(1) Quanto può durare un matrimonio forzato?
(2) Delle recenti avventure d'Italia - Venezia - 1864
(3) Ivi.

 

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